La richiesta di un congedo per 104 è legittima ma a fronte di determinati requisiti. Uno in particolare.
Il congedo con Legge 104 rientra nel quadro agevolativo concesso a coloro che, secondo apposita valutazione di una commissione medica, risultino in possesso di una percentuale di invalidità.
Il destinatario in orma prioritaria del beneficio, tuttavia, è il cosiddetto caregiver, familiare che si occupa a tempo pieno (o comunque in modo sistematico) della cura del disabile o dell’invalido. La 104 permette a tali figure di usufruire di particolari agevolazioni, inclusa la possibilità di assentarsi dal lavoro senza perdere per questo il diritto alla retribuzione. Inoltre, accanto all’opzione dei permessi retribuiti (fino a tre ogni mese), è prevista la concessione di un periodo di congedo, ossia un’assenza prolungata e ininterrotta rispetto alla prassi, fino a un massimo di 24 mesi. La normativa vigente, in pratica, permette ai lavoratori di assentarsi per due anni senza ripercussioni sulla retribuzione, a condizione che le ragioni di tale richiesta siano effettivamente legate allo stato di invalidità di un familiare.
In questo senso, elemento di discussione è stata spesso la cosiddetta priorità per convivenza, ossia l’influenza dello stato di condivisione della medesima abitazione sulla concessione del congedo. Un primo chiarimento arriva dall’Inps, secondo il quale la convivenza conferisce in qualche modo un ordine di priorità rispetto alle richieste di assenza giustificata dal lavoro. A patto che tale stato sia già presente al momento dell’istanza e che perduri per tutto il periodo di fruizione del congedo. Su questo aspetto, fa fede la sentenza della Corte Costituzione n. 232 del 2018. Nel caso sia un figlio a richiedere il beneficio per l’assistenza di un genitore, la convivenza dovrà essere iniziata prima della richiesta stessa.
L’instaurazione di una convivenza è quindi un requisito fondante per il permesso del congedo. Con la postilla, altrettanto cruciale, dell’impossibilità di procedere a stabilirla in momenti successivi alla richiesta. Ad esempio, nel caso in cui il figlio non fosse convivente precedentemente al periodo del congedo, il diritto passerebbe al parente immediatamente successivo in grado di ottemperare a tale obbligo. In realtà, su questo aspetto una deroga esiste: la normativa, stabilisce che i figli non ancora conviventi con il familiare disabile possano regolarizzare la loro posizione in un secondo momento ma solo nel caso in cui siano mancanti altri parenti in grado di svolgere unzioni di assistenza su base familiare. Sono inclusi, in questo senso, anche i parenti entro il terzo grado. Qualora presenti, anche costoro dovranno rispettare il requisito della convivenza.
Chiaramente, in un ordine di priorità sarà il familiare più prossimo a beneficiare per primo del congedo. Se, per esempio, un fosse un nipote a richiedere l’agevolazione, questa potrà essere concessa solo se tutti gli altri familiari in ordine prioritario fossero assenti, deceduti o affetti da patologie invalidanti. O, nondimeno, se non conviventi e non intenzionati a iniziare una convivenza . È chiaro come tale aspetto non sia l’unico da considerare come requisito nell’ambito della richiesta.
Secondo quanto stabilito dalla Legge 53/2000, il periodo di congedo richiedibile non potrà in nessun caso eccedere i due anni. Potrà tuttavia essere razionato. Durante tale periodo, il posto sarà conservato ma la retribuzione risulterà figurativa. In sostanza, il congedo non sarà considerato al fine della maturazione delle ferie, del TFR e della tredicesima. Restano inoltre escluse alcune categorie di lavoratori, come coloro che prestano servizi a domicilio, gli agricoli giornalieri, autonomi e parasubordinati, oltre che i lavoratori con part-time verticale.
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